Il pagamento degli stipendi degli oltre 200 cappellani militari presenti nel Paese comporta un onere a totale carico dello Stato ai sensi della Legge 512/1961 che per il 2014 ammonta, stando ai dati diffusi da Adista, a 10.445.732 euro.
Va anche rilevato che a questi stipendi fanno poi seguito, una volta terminato l’incarico, anche le relative pensioni (art. 47 della legge n. 512/1961): su il Manifesto del 20 agosto 2011 si è ricordato, per esempio, che il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Angelo Bagnasco, in quanto ordinario militare per l’Italia dal 2003 al 2006 è andato in pensione con il grado di generale di Corpo d’Armata dell’Esercito, maturando in tal modo il diritto a quasi 4.000 euro mensili.
Sempre sul Manifesto, il 17 agosto 2012, Luca Kocci ha calcolato in sette milioni l’incidenza delle pensioni, oltre ai dieci che costano ora i cappellani in servizio. Vi sono però anche i costi relativi alla creazione e al mantenimento delle strutture di cui si avvalgono i cappellani, e persino quelli per il loro aggiornamento spirituale. Per questo motivo è legittimo pensare che l’incidenza totale sia di almeno venti milioni.
L’8 febbraio 2018 il Consiglio dei ministri ha approvato uno «schema di Intesa tra la Repubblica italiana e la Santa sede sull’assistenza spirituale alle Forze armate». Il documento non innova in nulla salvo nella volontà di diminuire di circa un quinto il numero dei cappellani militari. Il provvedimento dovrà comunque essere ratificato dal parlamento, per il momento non è dunque ancora operativo – e non è detto che lo diventerà mai.